La spiritualità come catarsi nell’opera di Wanda Nazzari
di Maria Dolores Picciau
Sono molteplici gli ambiti in cui per oltre mezzo secolo si è spinta l’opera di Wanda Nazzari: dalla pittura alla scultura, dal mondo del teatro alle performance multidisciplinari sino all’attività ventennale di promotrice culturale condotta al Centro Man Ray di Cagliari, dove ha progettato e diretto numerosi eventi multimediali e di sperimentazione contemporanea. Una poetica che ha avuto uno sviluppo multiforme, variegato, diacronico, legata dal filo rosso della necessità introspettiva dell’autrice, da una continua ricerca esistenziale e da un’accentuazione della dimensione mistica del fare arte. In tutto l’alfabeto variegato della sua produzione incombe l’impellenza di un viaggio verticale dentro di sé, per estendere i limiti dello sguardo, affidarsi a nuovi stati creativi, confrontarsi con l’assoluto. Le opere monocrome bianche su carta ottenute con la tecnica della “manopressione”, i Nidi degli anni Novanta, i Libri d’artista, i Polittici, sculture formate da tavole lignee assemblate, incise e dipinte, le Pagine e le Interlinee, i Libri scultura e le opere installative di grandi dimensioni inserite in contesti pubblici, così come le performance multidisciplinari sono un invito all’approfondimento interiore, al valore intrinseco dell’opera, a superare le barriere del dubbio e a trasformare la realtà in una sintesi puramente emotiva.
C’è anche una costante speculazione sul sacro che l’artista enfatizza attraverso l’uso dei colori bianco e viola, o la fusione di entrambi, affidandosi a materiali come la carta, la stoffa, il legno e impiegando tecniche variegate come la pittura, la scultura e l’incisione.
Ciò che Wassily Kandisky descriveva sinteticamente nella convinzione che: “Il colore è un mezzo per esercitare un influsso diretto sull’Anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che con questo o quel tasto porta l’anima a vibrare.” A tal riguardo è d’obbligo ricordare il ruolo che la spiritualità dell’arte ha avuto nell’opera di Marc Rothko. La sua pittura mentale, ermetica, vibrante ha evocato l’idea di un essere supremo che si sostituisce all’artista per farci raggiungere una dimensione mistica.
Col viola profondo Wanda ricopre i Polittici in legno degli anni Novanta, incisi con una lavorazione a scaglie, vicini alla dimensioni delle stele o delle pale d’altare, o dipinti di bianco si trasformano in luoghi di silenzio, meditazione e preghiera. Pittura e scultura si rincorrono in queste opere in un rapporto di complementarietà, in un gioco di rappresentazione e di scambi di ruolo. A partire dagli anni Ottanta al rigore immacolato del bianco, dimensione assoluta e sottrazione allo stesso tempo, Wanda affida le opere su carta. Sono carte incise con scritture criptiche, ermetiche, allusive al vissuto dell’artista che nelle Pagine successive recupereranno il valore linguistico della scrittura, diventando vere e proprie grafie. In alcuni casi fa ricorso alle lingue delle tre grandi religioni monoteiste con brani tratti dal Nuovo Testamento e dalle Lettere di San Paolo, oppure diventano il deposito della memoria con gli appunti custoditi nel chiuso di un cassetto, come nelle più recenti Interlinee. Protette in eleganti custodie di carta cotonata, questi interventi segnici tra le righe di un testo ripetono il ritmo ossessivo delle preghiere. A volte, se disposte su un leggio assumono un valore rituale, quasi liturgico scandito da pause, silenzi, assenza quasi a evocare la litania di una supplica, o il verso ripetuto di un mantra.
Ma “l’esperienza mistica, come ci ricorda Umberto Eco – è fondamentalmente amorfa, indeterminata e inarticolata”. E non è un caso che il testo sacro sotto gli occhi di un asceta perda la verità del dogma, la sua forma originale per assumere quella della rivelazione.
Questa ideale continuazione dei percorsi dello spirito la inducono, attraverso pratiche di meditazione zazen, a far dialogare le sue opere con le pale d’altare della Pinacoteca di Cagliari o a confrontarsi coi luoghi sacri. Da questa esperienza nasce l’opera Riconciliazione del 1998 per la chiesa di Sant’Andrea a Sassari formata da 15 pagine di carta bianca con scritte in rilievo in ebraico, greco e arabo, collocate su inginocchiatoi di legno avvolti da bende stracciate, in un invito al dialogo tra i popoli; con la stessa opera due anni dopo intitolata questa volta Discesa a zero proporrà la variante delle carte sparse sul pavimento disposte a forma di triangolo, che secondo le antichissime simbologie esoteriche rappresenta l’occhio della visione universale, il segno della triplicità e della trinità divina.
La relazione tra atto creativo e spiritualità viene riassunto dalla Nazzari ora coi libri – scultura allestiti su inginocchiatoi o con le installazioni composite, un monito al silenzio, alla “pietas”, al raccoglimento sui valori della solidarietà e del bene universale. Nell’installazione Intervallo esposta a Cagliari nel 2006 e al Man di Nuoro, colloca i libri incisi di una scrittura fittissima, su altari fasciati da bende bianche, invitando il fruitore al silenzio per entrare meglio in armonia col soprannaturale. Se qui gli inginocchiatoi assumono un importante valore taumaturgico, gli intagli su carta diventano ali, immagini evocative, ripetute a più riprese dall’artista e affidate nel tempo e diverse tecniche. In questo caso il libro sembra affrancarsi dalla sua idea di comunicare attraverso i caratteri della scrittura per diventare ermeneuta, messaggero celeste che assurge all’Essere supremo.
Il simbolo delle ali, spesso associate agli angeli, è tra le iconografie affidate all’immaginario collettivo più ricche che il passato ci consegna. E se nel periodo paleocristiano e in quello bizantino gli angeli appaiono come esseri alati, nel Medioevo sono raffigurati come emissari di Dio, mentre già nel Rinascimento appaiono come entità terrene. Non a caso negli Arcani maggiori il diavolo rappresentato con due ali da pipistrello, abita nell’oscurità della notte profonda dell’inconscio, e manifesta il desiderio di ascendere dalla caverna al cosmo, per risalire alle origini, alla divinità creatrice. Le speculazioni sul tema ci portano alla quattordicesima carta dei tarocchi, la temperanza, rappresentata da un angelo, che ha superato la carnalità e può volare sino alle regioni più eteree. Per dirla come Rainer Maria Rilke è Gabriele che con il suo sguardo sovrumano potrebbe identificarsi con l’unico angelo che abbia visto Dio.
Le ali nelle speculazioni antiche associano gli angeli alle anime basandosi sull’idea che la natura dello spirito sia aereo come recita Giobbe 7:7 nella sacra Bibbia “ricordati che la mia vita è un soffio, il mio occhio non vedrà più il bene”. Non a caso in ebraico il termine Ruah (spirito di Dio) ha il significato di vento, per cui si dice che gli angeli siano anche venti e infatti il latino anima corrisponde al greco ovvero vento. Quell’anima che per Wanda va risvegliata sintonizzando l’artista con i suoi valori profondi, ascoltando la voce interna per guidarla verso il mondo interiore, verso l’inconscio e l’ineffabile.
Il tema delle ali con l’immaginario sacro a esso collegato, rimane una fonte inesauribile di ispirazione per gli artisti contemporanei: da icone del mondo nuovo nelle pitture di Keith Haring, diventano in Uraeus di Anselm Kiefer, evocazioni mitologiche in bilico tra l’ascesa e il peso della storia. In Osvaldo Licini il sacro è un’emanazione dell’impalpabile, inteso come rappresentazione totemica, “l’arte si trasforma e si rinnova seguendo rigorosamente gli sviluppi irresistibili dello spirito, che non torna indietro”- scriverà. Eppure le ali non appartengono solo agli angeli, ma anche agli uomini che con la suggestione del volo si sono sempre confrontati, perché evocano il viaggio, il desiderio di scoperta e l’aspirazione umana al trascendente. Al fascino del volo e all’evocazione di una dimensione misteriosa, la Nazzari dedica Ali per Ada nel 1996 un’opera rivolta alla figlia dell’artista Luigi Mazzarelli, scomparsa prematuramente. Simbolo di altare e rifugio, tomba e ricovero, le ali invitano a meditare sulla sofferenza di un lutto incommensurabile. Così sul mito del volo, alleggerito questa volta dalla presenza ingombrante di Icaro, la Nazzari ritornerà in diversi momenti della sua produzione artistica, considerandolo un mezzo importante per svelare l’incanto della sacralità.
Ma c’è un’altra presenza costante nell’opera della Nazzari: il nido, inteso come approdo al perenne naufragio cosmico dell’uomo. Il nido per l’artista è il conforto, la consolazione e la rinascita. Lo realizza in tessuto come i Nidi del 1994, in cotone e tessuti sfilacciati, in fili di rame come per la serie Da Luoghi sospesi del 2009 e per i Libri – Nido del 2014 o ricoperti da una delicata tarlatana bianca come nell’installazione Il Cerchio Aperto del
2001; avvolti da multistrati legnosi, grovigli di materiali protetti da una rete metallica, ora bianchi o viola, con lampi di rosso, giallo o blu, a volte aggrappati ad altre opere, oppure archetipi che vivono in solitudine. Il concetto della funzione salvifica dell’arte ben presente nella speculazione filosofica del passato, sembra essere stata ben assimilata dalla Nazzari, che coglie nella compartecipazione al “dramma” del fare artistico la possibilità catartica di liberazione. Sul ruolo sociale dell’arte ha pure scritto il padre della psicanalisi Sigmund Freud: “Le opere d’arte esercitano tuttavia una forte influenza su di me, specialmente la letteratura e le arti plastiche, più raramente la pittura. Sono stato indotto perciò a indugiare a lungo di fronte a tali opere ogni volta che mi si offriva l’occasione; volevo capirle a modo mio, cioè rendermi conto di come agiscono. Dove questo non mi è possibile, per esempio nella musica, sono quasi incapace di godimento”.
Se Freud era interessato soprattutto a capire in che misura gli artisti avessero una grande familiarità con l’inconscio pur non essendo psicanalisti, Picasso acutamente scrisse che: “l’arte scuote dall’anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni”. E i nidi come strumenti di ricerca interiore ci ricordano che ogni artista ha il suo daimon nell’esistenza, che ha il compito di svelarci secondo Platone, il disegno prescelto per ciascuno di noi.
Per questo ognuno ha una sua precisa vocazione e l’arte aiuta a scoprire il nostro posto nel mondo. Lo spirito, è ovunque e l’implicazione è totale, avvolgente, ossessiva. E l’arte con la sua ricerca continua in verticale per Wanda Nazzari è strumento di conoscenza ma anche di sensuosa partecipazione. In quel processo da iniziata col suo incedere sacrale nei percorsi dello spirito, mentre la materia si fa oggetto, è come se avesse davanti a sé uno specchio. Quello sguardo è dentro di lei. Cercava il divino, ma infine trova sé stessa.