Wanda Nazzari Catalogo

Prefazione di Maria Luisa Frongia

L’impresa che mi coinvolge è frutto di un lavoro di grande impegno al quale si sono dedicati indefessamente Stefano Grassi e Wanda Nazzari. L’artista che, nella sua casa-studio, affiancata dal figlio fotografo e grafico, ha affrontato una catalogazione complessa delle opere da lei eseguite, in uno sviluppo temporale che oltrepassa di oltre un decennio il mezzo secolo e che ancor oggi è in continua evoluzione creativa. Catalogazione volutamente selettiva e non completa, ma rigorosamente configurata in un’impostazione che tiene conto soprattutto dei materiali usati e dei cicli caratterizzanti lo sviluppo tecnico e stilistico della ricerca, seguendo una meticolosa scansione temporale. Il tutto a favore di una lettura articolata, ma al tempo stesso agile, in un discorso valutativo non frammentato da una successione cronologica di opera dopo opera, secondo la tradizionale formula delle catalogazioni ufficiali. La visione oggettiva e critica della Nazzari, basata sul concetto less is more, non consueta da parte degli artisti nei confronti della propria attività, è elemento peculiare della selezione che lei ha posto in essere in questo volume, a vantaggio di una impostazione ampia, ma ben costruita del suo percorso artistico. Percorso mai interrotto di una vita dedicata a una incessante sperimentazione: ne sono testimonianza i sempre rinnovati studi impegnati e produttivi, guidati da una intelligenza che spazia in ogni campo dell’arte e del pensiero.
Così Wanda Nazzari risponde alle esigenze di collezionisti, studiosi, estimatori che spesso sollecitavano la richiesta di un organico repertorio della sua produzione al quale fare riferimento, con la certezza che dati e date fossero indicati dall’artista stessa, frutto della sua ferrea memoria. Il catalogo si avvale di un’enorme raccolta fotografica di straordinario valore, per lo più tratta dall’archivio di Stefano Grassi, ma anche frutto di una rinnovata campagna fotografica quando le immagini di repertorio non sono state ritenute soddisfacenti per la pubblicazione o non rispondenti alle esigenze dell’optimum perseguito da un professionista serio e rigoroso quale Grassi è sempre stato. Non si è fermato davanti a esemplari conservati in collezioni private, sottoponendosi all’ulteriore onere del loro reperimento per poter eseguire le riprese dall’originale.

Di fronte a una tale quantità di elaborati artistici, è molto difficile dare un giudizio sintetico che riunisca tutte le fasi salienti delle multiformi esperienze della Nazzari, anche se i lunghi anni di frequentazione con lei e la fortuna di poterne condividere i travagli dell’ininterrotto cammino sperimentativo, possono essere di aiuto.
Per penetrare meglio la complessa personalità dell’artista e addentrarsi nel magma di una sensibilità profonda, si aggiungono le sue poesie, ora in parte pubblicate nel recente volume Contrappunto (2020), alcune ancora inedite, ma spesso condivise generosamente con me che ho sempre tentato di dipanare negli anni il filo del suo operare, frutto di una sensibilità e di una cultura variegata e profonda.
In Wanda Nazzari noi troviamo l’attrattiva della molteplicità dei materiali, i più diversi, ma assemblati con rara maestria, in un processo che si riveste di un fascino emozionante che ha il potere di coinvolgere lo sguardo e il cuore di chi osserva e studia i prodotti della sua attività creativa. Anche quando la giovane artista utilizzava tecniche tradizionali come l’olio e l’acquerello, gli esiti non erano scontati e la figurazione tendeva a smaterializzarsi e si rivestiva dell’aura del sogno, di quella rêverie tanto amata dal simbolista francese Odilon Redon, riecheggiata in alcune evanescenti figure degli anni Settanta.
Ma ben presto il potere emotivo di una realtà segreta che ispirava la sua personalità, doveva tradursi in forme astratte dove il colore assumeva un ruolo preponderante nell’orditura dell’opera. Colore che, con la forza di alcuni di essi quali il viola, il rosso, il blu, il verde e il bianco, quest’ultimo sintesi additiva di tutti i colori dello spettro visibile, diventerà la cifra stilistica di una lunga indagine artistica, in tappe brevi o lunghe, spesso reiterate in una personale sintesi interpretativa. E il linguaggio, con una metamorfosi lenta e complessa, si evolverà dalla spazialità piana alla tridimensionalità, in una scenografia mutevole, pensata per dare corpo al divenire della vita.
Scelte spesso in linea con gli interventi della Nazzari nel campo del teatro, in una non facile abilità dialettica dove le arti si incontrano, comunicano, si confrontano, raggiungendo una simbiosi rara e difficile. L’installazione performativa Fessura di tempo del 2001 (pag. 317), per la quale ha creato il testo, curandone la scenografia e la regia, può essere citata come uno dei molti possibili esempi, tra i più significativi, della sua poliforme personalità artistica, personalità che si sa muovere nel difficile mondo teatrale, guidando con maestria attori, musicisti e ballerini.

 Ora, per tornare ai passaggi compiuti dall’artista dall’uno all’altro genere di ricerche, che tratteggerò in modo essenziale e facendo riferimento soltanto ad alcuni momenti sostanziali, ritengo che gli anni Novanta possano essere considerati un fondamentale spartiacque, segnato da un parziale allontanamento dalle tecniche più tradizionali usate fino ad allora, dall’acrilico all’acquerello, a tutti i metodi dell’incisione, in favore di una commistione di materiali. Come punto di partenza esemplare si può fare riferimento alla serie di piccole sculture lignee che emergono da supporti cartacei, le quali dialogano fra loro attraverso un filo leggerissimo. Si trasformano negli amati Nidi, creazioni della Nazzari ricche di rimandi simbolici e cariche di valenze positive e negative, anfratti segreti nei quali nascondersi o dai quali fuggire. I Nidi si evolveranno nel tempo, velati da schermi di rame, di tessuto, variegati per l’utilizzo del cotone e dei fili stramati, in un uso polimaterico che caratterizza il processo costante del metodo di studio e di progettazione dell’artista e ne diventa parte integrante. Nel suo lavoro creativo e spirituale, segnano anche passaggi fondamentali della sua vita, assecondano la natura vibrante del suo esistere, fra luci e ombre che traducono gli slanci di una emotività profonda.
Si passerà così dai Nidi di gioia (2013), costruiti con vivace luminosità cromatica, ai nidi Da cieli strappati (2017, pag. 344), avvolti dalla cupezza dei neri come in un dolore nel quale si è sprofondati. I colori caldi non ci sono più … solo il nero … in un lutto cosmico, per usare alcuni versi della Nazzari del 2017.
 Intanto, fin dagli anni Ottanta l’orizzonte linguistico si era ampliato con la ideazione di vere e proprie opere plastiche, le Pittosculture (pag. 188), in un’evoluzione tecnico-creativa sviluppata lungo i decenni successivi, con l’aggiunta di materiali aggettanti che emergono dai supporti lignei, segni scrittori, immagini oniriche, frutto di una personale imagerie. Sono il risultato della contaminazione di due tecniche artistiche, in una soluzione ancora sul piano, ma con una lettura recto-verso che già Pietro Consagra, nei primi anni Settanta, aveva attuato nelle sue sculture “frontali”, nella consapevolezza che i suoi pezzi potessero avvalersi di una duplice esistenza attraverso ambedue le facce della superficie. Si aprirà così la strada alla ideazione delle grandi composizioni tridimensionali dei Polittici, create a partire dal 1992 in una sinfonia cromatica di viola e blu con accensioni di rosso. Si trasformeranno negli anni, virando a sfumature ramate e arricchendosi di incisioni scrittorie in ebraico, nel trittico Origine del 2009 (pag. 226), fino a che i colori si fonderanno nel bianco, nella sintesi di luce e di leggerezza dell’ultima installazione Grado Zero del 2014 (pag. 334), nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari. Affiorano allora simbolici concetti di armonia e di ascesi attraverso il raggiungimento di una osservazione interiore, fino a momenti di catarsi, frutto anche di un esercizio mistico legato alla pratica della meditazione orientale zazen, in una preziosità raggiunta ma non ricercata, che la fanno diventare un’artista dell’anima.
La pluridimensionalità fisica delle strutture lignee sono la logica conseguenza di un divenire compositivo e linguistico perseguito da Wanda, sempre impegnata in uno studio costante e con la volontà di provare le sue capacità anche nel campo scultoreo. Per conquistare una spazialità plastica e insieme poetica, per ritmare lo spazio e il tempo in una personale abilità, costruisce tavole alte e strette, fino a un numero di otto: il loro campo è dunque lo spazio nel quale esse possono essere avvicinate, distanziate, in un assemblaggio studiato e modificato dalla mano dell’artista.
Sono assi di forza ascensionale costruite, dipinte e incise da entrambi i lati, forgiate e riunite in un’esperienza creativa sempre nuova e feconda, dettata da impulsi diversi, analizzati nell’intimo, perché la riflessione cerca continuamente di percepire nel profondo il senso del suo fare, frutto di meditazione e spesso di un vissuto spirituale.
A questo punto emerge dalla mia memoria l’immagine delle Ali (pag. 308), una straordinaria creazione installativa, ora distrutta dai traslochi e dal tempo, quasi una scultura aerea che la Nazzari dedicò in modo sofferto, nel 1996, ad Ada, la figlia dell’artista Luigi Mazzarelli morta tre anni prima prematuramente, appena ventenne. Un’incredibile apertura alare era sospesa alla volta a botte di Palazzo Amat in Via Lamarmora, allora sede del Centro Culturale Man Ray a Cagliari, costituito e diretto da Wanda Nazzari nel 1995 e dedicato, per 21 anni, alle arti contemporanee, e alla stimolante collaborazione con numerosi artisti. Lo straordinario manufatto dava forma e forza al volo terreno, interrotto troppo presto, di una creatura molto amata anche da Wanda. Mazzarelli, ancora devastato da un enorme dolore, aveva voluto testimoniare la sua sofferenza mai sopita con un gesto di sapore quasi iconoclasta, frutto di una ribellione distruttiva, bruciando tutti i suoi dipinti prodotti in tanti anni di attività. Wanda Nazzari, presente a questo eccezionale falò, con un gesto dettato da una pietas profonda, aveva salvato alcuni brandelli di materia non combusta; li avrebbe poi celati all’interno delle piume di queste ali create con bende di tessuto grezzo, la tela olona, nella loro evidente metafora di lenimento e di protezione. L’intensa sensibilità dell’artista aveva voluto esprimere tutta la sua condivisione del patimento di un genitore, pur nella consapevolezza del molto impegno necessario per dare forma al processo ideativo. Prima di iniziare, Wanda mi ha rivelato recentemente con un velato reticente pudore, vide esaudito il suo inesausto desiderio di veridicità quando un volatile entrò improvvisamente dalla finestra della sua
casa e, con docile mitezza, le permise di saggiare la forma e la consistenza di ali vive. Solo allora cominciò a costruire l’installazione di grandi dimensioni, con una difficile azione tecnica e manuale amorosamente eseguita; plasmò un’anima di filo di ferro come supporto delle strisce di stoffa, pendule e sfrangiate, a simulare l’idea delle penne delle ali necessarie per l’aerodinamicità e il funzionamento del volo. Un volo impossibile di ali tarpate? Una speranza di fare arrivare un messaggio d’amore da parte di un padre, per mezzo di una creazione amorevolmente sofferta e mistica? Ogni interpretazione sarebbe una mia illazione e, pertanto, mi avvalgo di una poesia di Wanda per capirne meglio il significato sotteso:

Alle ali per Ada

Altare
Nido
Tomba
Croce e rifugio
Strumento di meditazione
E di silenzio

Luogo assoluto
Dove l’ala sacrificata ritorna e si ricompone
Dove vincitori e vinti
Si incontrano
Muti
Per parlarsi
Dentro

Quando mi soffermo sull’opera ideata dalla Nazzari il mio pensiero corre alla scultura Libro con le ali (Forth Worth, Modern Art Museum), eseguita dal grande artista tedesco Anselm Kiefer nel 1994 utilizzando piombo, stagno e acciaio. Pur nella pesantezza dei materiali, egli aveva voluto testimoniare per la prima volta un’idea che avrà ulteriori sviluppi, fino alla recente monumentale scultura del 2019, Uraeus, per il Rockefeller Center di New York: il sapere contenuto nei libri non si può racchiudere o trattenere. Un confronto forse audace per la diversità e l’apparente lontananza delle due personalità, ma che voglio avanzare, forte anche di una frase scritta dallo stesso Kiefer e dedicata ai prestiti che un artista sembra prendere da un altro: Ma è così che accade, le idee circolano, sono nell’aria.
E non si può non ricordare che i libri, ai quali dedica alcune interessanti pagine Mariolina Cosseddu, costituiscono una parte molto rappresentativa anche della produzione di Wanda Nazzari, a conferma di un’ulteriore corrispondenza di pensiero e di circolarità delle idee.
Ha avuto coraggio Wanda Nazzari, artista di talento, nel tentare sempre un totale approfondimento nel mondo dell’arte, con un repertorio di opere ogni volta nuove e diverse, plasmate con un ritmo naturale e costante che si accompagna a un pensiero continuo, maturato nel tempo; opere sempre improntate a una lettura iconografica, segnica e simbolica, frutto anche di una tensione inesausta verso l’infinito.
Ha avuto il coraggio di occupare lo spazio sacro di una Chiesa coi suoi Inginocchiatoi, di far rivivere interi ambienti museali, non sottraendo le sue creazioni a difficili confronti con altre di arte antica, moderna o contemporanea. Ha avuto il coraggio di aprire porte, non solo metaforiche, a ballerine vestite di candidi tutù, con incantati Passages di legno bianco, in una commistione di luminosità e di leggerezza inusitate.
Ma sembra inutile continuare. Sono convinta, infatti, che più delle parole parlino le immagini le quali, solo loro, costituiscono il veicolo di impatto diretto più profondo e personale con le elaborazioni artistiche, in un contatto quasi magico con la loro sfera creativa, senza l’invadente intervento di chi scrive. Chiunque voglia conoscere la storia dei vari periodi dell’arte di Wanda Nazzari, dei passaggi dall’uno all’altro genere di ricerche, ora dovrà fare riferimento a questo volume.